Velvet Buzzsaw di Dan Gilroy – L’ipocrisia del mondo dell’arte incontra l’horror | Recensione

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Il 1° Febbraio è stato reso disponibile su Netflix il nuovo film di Dan Gilroy, Velvet Buzzsaw. La pellicola, originariamente presentata al Sundance Film Festival 2019, ha trovato posto nel catalogo di Netflix e segna l’approdo al genere horror di Gilroy, noto per il bellissimo Nightcrawler, anch’esso con protagonista Jake Gyllenhaal.

La pellicola segue un gruppo eterogeneo di personaggi che in qualche modo diventa responsabile di aver diffuso un certo tipo di arte nel mondo. Josephina (Zawe Ashton), un’agente emergente nel campo dell’arte contemporanea, scopre dei dipinti appartenuti ad un anziano, e, dato che non c’è nessuno che li possa ereditare, se ne appropria. Grazie al suo capo, Rhodora Haze (Rene Russo), e con l’inconsapevole aiuto del critico d’arte Morf Vandewalt (Jake Gyllenhaal), crea con questi dipinti una nuova voga che inizia piano piano a consumare il mondo che le sta intorno, a partire da misteriosi eventi sinistri legati ai dipinti.

Dan Gilroy stavolta non vuole criticare la mercificazione dell’informazioni da parte dei Mass Media, ma vuole parlare di arte, non quella bella e che ti attrae inconsapevolmente, ma la svendita dell’arte e dei suoi artefici. Parte della pellicola si concentra sull’introdurre lo spettatore a tutti i personaggi protagonisti della pellicola, da Morf a Josephina, passando per Piers (John Malkovich) e anche Haze. Tutti personaggi sgradevoli per un motivo o per l’altro; chi più chi meno è come parte di una macchina da marketing e non cultori di vera arte. Vediamo quanto le recensioni e l’impatto dell’arte sulle persone siano due cose ben diverse, concetto esplicitato all’interno della pellicola tramite in modo molto chiaro tramite uno scambio di battute tra due personaggi molto vicini tra di loro. Forse il momento più drammatico dalla pellicola, dove la tensione stessa si tagliava con il coltello.

Il cast messo insieme da Gilroy per questa pellicola è così mastodontico e popolato da grandi nomi che ci si aspetterebbe di vedere delle proprie “parabole”, mentre alcuni seppur bravi nei brevi momenti che appaiono, diventano ad un certo punto della pellicola, nella parte più horror, solo carne da macello. Per citarne due estremamente sprecati John MalkovichBilly Magnussen, presi singolarmente il loro impatto nella storia è minimo, potrebbero aver fatto interpretare quei due ruoli a chiunque, perché proprio ai fini dell’intera pellicola hanno poca rilevanza al punto che viene da chiedersi quasi se per caso ci possano essere parti tagliate con questi due; e se uno di questi almeno ha una conclusione nella pellicola, l’altro ad un certo punto scompare e viene ritrovato solo a fine film. Su tutti spiccano l’immenso Jake Gyllenhaal e Rene Russo, che inevitabilmente rubano la scena a tutti, sia perché hanno anche la “parabola” se così possiamo definirla, più interessante e degna di nota di tutta la pellicola. Morf, il personaggio interpretato da Gyllenhaal rappresenta un critico che fa del suo gusto per la bellezza un’arma al servizio di Haze e della sua galleria d’arte; un uomo che cerca la bellezza e ne ha una propria interpretazione che inevitabilmente però anche in questo caso soggettivamente porta lo spettatore da esterno a notare cose che altrimenti al personaggio sfuggono, fino a che non è troppo tardi. Rhodoria Haze è una mercante d’arte e di sogni del 21esimo secolo, tutto per lei ha un prezzo, compresa la sua stessa “arte”. C’è chi obbietterebbe che il suo lavoro come direttrice di galleria sia la vera arte che dà al mondo, e in alcuni punti rappresenta quasi l’elemento “nemico” più palpabile nella pellicola, essendo lei, come molti altri personaggi, destinataria della critica di Gilroy. Non ci si può inoltre dimenticare di Toni Collette, che ormai sembra fare solo horror; Anche lei diventa solo carne da macello e non ha più importanza dei Magnussen o Malkovich citati in precedenza. Dunque per quanto l’insieme del cast sia quello tipico di un film che non può fallire, molti risultano quasi non pervenuti.

Registicamente siamo di fronte ad un prodotto ottimo, la tensione è ben resa, anche grazie a delle anticipazioni per nulla invadenti nella prima parte della pellicola. Tipicamente si fa uso di continui jump scare nel genere, qua invece non sono presenti o almeno giocano a favore della narrazione e non puntano solo a far sussultare lo spettatore. Almeno da questo punto di vista il regista è stato abile, e tutti i suoi omaggi al genere non sono né indecifrabili né invadenti. Certe scene rimangono impresse per la potenza visiva, che tra fotografia e luci è uno dei punti di forza del film. Non si può dunque dire che tecnicamente non si possa percepire l’attenzione al dettaglio. Persino le musiche di Marco Beltrami chiudono in positivo il bilancio tecnico di questa pellicola.

Il sentore di stare vedendo qualcosa di simile, ma declinato in un’altra storia ed in un’altro tempo, continua a permeare la pellicola. Infatti andando a ricercare nelle interviste del regista, viene fuori inequivocabilmente un nome, Robert Altman e il suo “I Protagonisti” del 1992, che vedeva proprio come questo Velvet Buzzsaw un cast enorme, il film che si muove tra i punti di vista di tutti i personaggi, dando poco in tempo in scena ad alcuni di loro e dandone tanto ad altri, sia perché prominenti nel racconto sia perché interpretati splendidamente. Il poco tempo per caratterizzare al meglio tutti si fa sentire in questo film come pure nella pellicola di Altman, ma non si può condannare totalmente Velvet Buzzsaw per questi errori, dopotutto, come ci dice il film stesso: “L’arte è un concetto soggettivo.”

Dan Gilroy confezione una buona pellicola, che analogamente al suo precedente lavoro, inizia in silenzio per poi esplodere nei successivi atti, prima stabilisce i personaggi e dopo di che li segue attraverso l’incontro/scontro con questa entità maligna che in parte gli stessi personaggi hanno alimentato, diventandone complici inconsapevoli. La critica al mondo dell’arte, sopratutto ai sotterfugi e alle corse per accaparrarsi autori più per il nome che per l’effettiva arte prodotta è palpabile all’inizio della pellicola, per poi passare in secondo piano rispetto all’orrore generale che la vicenda sta portando nelle vite dei personaggi. Cambio che avviene sia perché non è l’intenzione del regista sia perché si è portati ad avere più a cuore i personaggi e il messaggio che veicolano della stessa trama generale. In parte il più grande peccato della pellicola è anche il suo più grande pregio, avere un così diretto contatto con il pubblico e il saper veicolare tanto bene il messaggio e la critica che quasi l’orrore per certe situazioni passa in secondo piano, ma abilmente continua ad aleggiare nell’ombra della scena. Se vi piace il modo di fare di Gilroy saprete sicuramente ritrovare molte caratteristiche che hanno reso il suo tocco fondamentale alla riuscita del film; se siete dei semplici spettatori potreste provare un pò di noia in alcuni momenti lenti, ma state sicuri che quello per cui avete cliccato “play” è lì che vi aspetta. Allo stesso tempo non fermatevi al solo horror, perché effettivamente dietro c’è molto di più. Anche se non completamente riuscito Velvet Buzzsaw ha una sua identità che difficilmente si trova nei film dell’orrore che vogliono strafare fino a perdere completamente la loro identità.